Citazioni, frasi e aforismi sull’arte

Oggi volevamo condividere con voi alcune citazioni sull’arte di pittori, filosofi, scienziati e personaggi illustri per darvi qualche spunto per ispirarvi, emozionarvi e farvi sognare. Fateci sapere nei commenti la vostra frase preferita.

Arte è quando la mano, la testa, e il cuore dell’uomo vanno insieme.
(John Ruskin)


Ogni bambino è un’artista. Il problema è poi come rimanere un’artista quando si cresce.
(Pablo Picasso)


La scienza descrive le cose così come sono; l’Arte come sono sentite, come si sente che debbano essere.
(Fernando Pessoa)


Il tocco supremo dell’artista, sapere quando fermarsi.
(Arthur Conan Doyle)


L’arte è l’unica cosa seria al mondo. E l’artista è l’unica persona che non è mai seria.
(Oscar Wilde)

Il mondo non è stato creato una volta, ma tutte le volte che è sopravvenuto un artista originale.
(Marcel Proust)


Si usano gli specchi per guardarsi il viso, e si usa l’arte per guardarsi l’anima.
(George Bernard Shaw)

Se il mondo fosse chiaro, l’arte non esisterebbe.
(Albert Camus)

La vita abbatte e schiaccia l’anima e l’arte ti ricorda che ne hai una.
(Stella Adler)


L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni.
(Pablo Picasso)


Si usa uno specchio di vetro per guardare il viso e si usano le opere d’arte per guardare la propria anima.
(George Bernard Shaw)


Ci sono pittori che dipingono il sole come una macchia gialla, ma ce ne sono altri che, grazie alla loro arte e intelligenza, trasformano una macchia gialla nel sole.
(Pablo Picasso)


Ogni artista intinge il pennello nella sua anima, e dipinge la sua stessa natura nelle sue immagini.
(Henry Ward Beecher)


Mandare luce dentro le tenebre dei cuori degli uomini. Tale è il dovere dell’artista.
(Schumann)

L’arte è uno di quei pochi territori dove è ancora possibile cercare delle verità.
(Wolf Vostell)

È un’illusione che le foto si facciano con la macchina… si fanno con gli occhi, con il cuore, con la testa.
(Henri Cartier Bresson)


La vita è troppo breve per restare con “i piedi per terra”, quindi dipingi, scolpisci, scrivi, recita, danza… insomma sogna.
(Davide Sallustio)


L’autore nella sua opera dovrebbe essere come Dio nell’universo, presente ovunque e visibile da nessuna parte.
(Gustave Flaubert)

La scienza è ciò che comprendiamo abbastanza bene da spiegarla a un computer. L’arte è tutto quanto il resto.
(Donald Knuth)


Se c’è sulla terra e fra tutti i nulla qualcosa da adorare, se esiste qualcosa di santo, di puro, di sublime, qualcosa che assecondi questo smisurato desiderio dell’infinito e del vago che chiamano anima, questa è l’arte.
(Gustave Flaubert)

Dio in realtà non è che un altro artista. Egli ha inventato la giraffa, l’elefante e il gatto. Non ha un vero stile: non fa altro che provare cose diverse.
(Pablo Picasso)


L’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è.
(Paul Klee)


Sogno di dipingere e poi dipingo il mio sogno.
(Vincent Van Gogh)


Ciò che l’arte tenta di distruggere è la monotonia del tipo, la schiavitù della moda, la tirannia delle abitudini, e l’abbassamento dell’uomo al livello della macchina.
(Oscar Wilde)


Tutta la grande arte nasce da un senso di indignazione.
(Glenn Close)


L’Arte ha parlato molte più lingue di quelle che l’uomo stesso abbia mai creato.
(Davide Sallustio)


I capolavori non sono fatti per sbalordire. Sono fatti per persuadere, per convincere, per entrare in noi attraverso i pori.
(Jean Auguste Dominique Ingres)


Nessun grande artista vede mai le cose come veramente sono. Altrimenti non sarebbe più un artista.
(Oscar Wilde)


L’arte non è ciò che vedi, ma ciò che fai vedere agli altri.
(Edgar Degas)


Non vi è alcun metodo più sicuro per evadere dal mondo che seguendo l’arte, e nessun metodo più sicuro di unirsi al mondo che tramite l’arte.
(Goethe)


I tre criteri di un’opera d’arte: armonia, intensità, continuità.
(Arthur Schnitzler)

La sola arte di cui mi accontento è quella che, elevandosi dall’inquietudine, tende alla serenità.
(André Gide)


La realtà produce una parte dell’arte, il sentimento la completa.
(Jean-Baptiste Camille Corot)


L’opera d’arte è un messaggio fondamentalmente ambiguo, una pluralità di significati che convivono in un solo significante.
(Umberto Eco)


Farci sentire piccoli nel modo giusto è una funzione dell’arte; gli uomini possono farci sentire piccoli solo nel modo sbagliato.
(Edward Morgan Forster)


Arte significa: dentro a ogni cosa mostrare Dio.
(Hermann Hesse)


La più bella esperienza che possiamo avere è il mistero – l’emozione fondamentale che sta alla base della vera arte e della vera scienza.
(Albert Einstein)


La Natura è rivelazione di Dio; l’Arte, rivelazione dell’uomo.
(Henry Wadsworth Longfellow)


La grande arte riprende da dove finisce la natura.
(Marc Chagall)


La natura è una casa stregata, l’arte è una casa che cerca di essere stregata.
(Emily Dickinson)


Che cosa è l’arte? Ciò per cui le forme diventano stile.
(André Malraux)


L’arte astratta non esiste. Devi sempre cominciare con qualcosa. Dopo puoi rimuovere tutte le tracce della realtà.
(Pablo Picasso)


L’arte è una attività umana che possiede come propri scopi la trasmissione alle altre persone dei più alti e migliori sentimenti al quale l’uomo sia mai arrivato.
(Lev Tolstoj)


Perché un’opera sia veramente bella, bisogna che l’autore vi dimentichi sé stesso, e mi permetta di dimenticarlo.
(François de Salignac de La Mothe-Fénelon)


La sincerità è un grande ostacolo che l’artista deve vincere.
(Fernando Pessoa)


Rivelare l’arte e nascondere l’artista è il fine dell’arte.
(Oscar Wilde)


Le opere d’arte sono di una solitudine infinita, e nulla può raggiungerle meno della critica.
(Rainer Maria Rilke)


La natura agisce secondo leggi che si è prescritta d’accordo col Creatore, l’arte secondi leggi sulle quali si è messa d’accordo con il Genio.
(Goethe)

Ogni grande opera d’arte ha due facce, una per il proprio tempo e una per il futuro, per l’eternità.
(Daniel Barenboim)


Arte è ciò che il mondo diventerà, non ciò che il mondo è.
(Karl Kraus)


Si può esistere senza arte, ma senza di essa non si può Vivere.
(Oscar Wilde)


L’arte non insegna niente, tranne il senso della vita.
(Henry Miller)


Con un’opera d’arte bisogna avere il comportamento che si ha con un gran signore: mettervisi di fronte e aspettare che ci dica qualcosa.
(Arthur Schopenhauer)

Impara le regole come un professionista, affinché tu possa infrangerle come un artista.
(Pablo Picasso)


Bisogna rifare dieci volte, cento volte lo stesso soggetto. Niente, in arte, deve sembrare dovuto al caso.
(Edgar Degas)


La natura imita ciò che l’opera d’arte le propone. Avete notato come, da qualche tempo, la natura si è messa a somigliare ai paesaggi di Corot?
(Oscar Wilde)


La vita imita l’arte più di quanto l’arte non imiti la vita.
(Oscar Wilde)


La vita è così orribile che la si può sopportare soltanto fuggendola. E lo si fa vivendo nell’arte.
(Gustave Flaubert)

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La danza rappresentata nelle opere d’arte

La danza della vita di Edvard Munch (1899-1900)

Raffigurare la danza nell’arte ha sempre avuto il suo perché; il dinamismo, la bellezza e l’espressività della danza ne hanno fatto un soggetto attraente per innumerevoli artisti. La danza occupa una posizione importante nella natura umana. Che si tratti di una celebrazione, ritualistica o espressiva, la danza, come altre forme d’arte, ha anche un ruolo culturale significativo. Vediamo come gli artisti hanno catturato questa forma d’arte con una breve e non esaustiva panoramica sulla danza nell’arte.

L’arte della danza ha radici lontane

La danza è una forma d’arte che ha importanza in tutte le culture e i periodi di tempo, esprimendo emozioni e permettendo connessioni tra le persone. Come l’arte, è in costante evoluzione e cambiamento con i tempi, ma possiamo ancora trovare la stessa passione quando confrontiamo la danza del passato con la danza del presente. Fin dall’antichità, la danza è stata una parte fondamentale dei rituali, che hanno rappresentato momenti di aggregazione collettiva, come cerimonie e feste popolari. Infatti, questa disciplina è stata presente in tutte le culture umane partendo dai dipinti dell’antico Egitto, dell’antica Grecia, degli Etruschi e dei Romani. Inoltre, questo tema è stato indagato e rappresentato dall’arte anche durante il Medioevo, il Rinascimento, il Classicismo seicentesco, il Neoclassicismo, l’Impressionismo e la pittura del ‘900, fino ad arrivare ai giorni nostri.

Antica danza egiziana

L’illustrazione affianco mostra come la danza nell’antico Egitto era solitamente eseguita per onorare gli dei e anche in alcuni momenti speciali, ma il significato esatto dei movimenti particolari non può essere realmente decifrato dai dipinti sulle pareti. Nel frattempo, è chiaro agli storici e agli egittologi che la danza durante i tempi antichi era una parte comune e importante della vita.

Canova e la Danza

La Danzatrice con i cembali di Antonio Canova (1812)

La danza, che per sua natura cerca la bellezza nel movimento, diventa l’immagine per eccellenza della grazia nel neoclassicismo. La ripetizione delle figure danzanti all’interno della produzione canoviana testimonia l’interesse dell’artista per lo studio del movimento. Essendo un tema privilegiato, lo traduce in numerose statue di dee, muse, figure mitologiche, rilievi, disegni e tempera che esibiscono una notevole varietà di movimenti di danza e pose. La Danzatrice con i cembali, ad esempio, raffigura una giovane ragazza che, colta mentre esegue un passo di danza, afferra delicatamente i clavicembali con le mani.

Gli impressionisti e la danza, uno sguardo alle opere di Edgar Degas

È impossibile discutere la storia della danza nell’arte senza parlare degli impressionisti. I principi chiave del movimento si basano sulla cattura e rappresentazione di alcuni elementi come il movimento, l’energia e l’emozione sopra ogni altra cosa che sono strettamente correlati con il mondo della danza.

L’étoile di Edgar Degas (1878)

Edgar Degas nacque in una famiglia di amanti della musica a Parigi, dove il balletto era fiorente e si diffondeva in tutta Europa. Fin da giovane, Degas era sempre circondato dal balletto e ha sviluppato un intenso interesse, fino a trasformarsi quasi in un’ossessione. Dal 1860, l’artista frequentò il Palais Garnier e creò oltre 1.500 opere d’arte con ballerini come soggetti protagonisti. Secondo Degas, il suo intenso interesse derivava dalla visione del balletto sulla condizione umana, così come dalla volontà di rappresentare il dietro le quinte.

La vita delle giovani ballerine era estremamente impegnativa. Provenienti da famiglie spesso povere, le ballerine, soprannominate “les petits rats”, lavoravano sei estenuanti giorni alla settimana per provvedere alle loro famiglie. All’epoca, inoltre, la prostituzione era parte integrante della loro attività. Infatti, dietro al palcoscenico del Palais Garnier, teatro dell’opera di Parigi, era stata creata appositamente una grande sala di appuntamenti dove i signori ricchi potevano incontrarle e proporre atti sessuali in cambio di un sostegno finanziario portando queste giovani ragazze ad accettare questi compromessi essendo spesso la via di fuga dalla povertà e la spinta per avere successo come ballerine.

Questo fenomeno è rappresentato nel dipinto L’étoile (La ballerina solitaria). In prima linea nell’immagine c’è una ballerina su cui l’artista focalizza dunque l’attenzione, rendendo evidente la chiara matrice impressionista dell’opera. Dietro di lei, un’ombra, una figura maschile ben vestita con il volto oscurato. Questi contrasti netti evidenziano la realtà cupa di questi ballerini.

Tuttavia, non possiamo vedere questo come una sorta di attivismo femminista. L’artista, che aveva una visione misogina verso le donne, era noto per essere crudele con i ballerini. Li avrebbe deliberatamente sovraccaricati costringendoli a posare per ore per raggiungere il risultato artistico desiderato, come ammesso da lui stesso. Questi dipinti, anche se belli, spesso raffigurano una rappresentazione cruda e sinistra della danza, ma anche della natura umana.

Il Movimento dei Fauves e la danza

Il primo decennio del XX secolo è stato caratterizzato da un rapido cambiamento in senso sociale, politico e culturale. Il modernismo ha introdotto un paradigma completamente nuovo che è stato scioccante per molti. Una delle opere rivoluzionarie del periodo è certamente La Danza di Henri Matisse.

Una delle caratteristiche del fauvismo, il movimento istituito da questo pittore innovativo, era l’interesse per il primitivismo trovato nelle comunità indigene al di fuori dell’Europa. Ispirato da queste influenze, Matisse creò La Danza (La Danse) che ora è percepita come l’apice della sua carriera e un’opera d’arte moderna tra le più importanti.

La prima versione del dipinto, risalente al 1909, è conservata al Museum of Modern Art di New York, mentre l’altra, del 1910, è situata al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo.

Danza nell’arte moderna della metà del XX secolo

Come nei movimenti precedenti, gli artisti moderni della metà del XX secolo, come le figure chiave della Pop Art Alex Katz e Keith Haring, hanno continuato a rappresentare l’affascinante dietro le quinte del mondo della danza, così come la gioiosa semplicità della danza.

Untitled (Dance) di Keith Haring (1987)

Nella tradizione classica della Pop Art, il semplice dipinto in stile cartoon di Keith Haring Untitled (Danza) rifiuta l’elitarismo (tendenza di una minoranza alla salvaguardia dei propri interessi in senso classista). Invece, riflette l’emergente cultura hip hop di New York del tempo, di cui Haring era un fan. Le linee audaci e i colori vivaci si ispirano ai ritmi vivaci e potenti della musica, mentre le piccole linee simboleggiano l’energia che si irradia dai movimenti gioviali dei ballerini. Proprio come il resto del lavoro di Haring, la pittura danza emana un senso di felicità, celebrazione e unità.

La danza nell’arte contemporanea

Oggi gli artisti continuano ad essere ispirati dalla magia della danza e le nuove tecnologie nell’arte permettono loro di raffigurarla con nuove modalità.

Danza nell’arte: una fonte di inspirazione senza fine

Le qualità dinamiche ed espressive della danza e la sua bellezza faranno che gli artisti la vedano sempre come un soggetto da esplorare.

Quale tra le rappresentazioni della danza nell’arte, viste in questo articolo, è la tua preferita?

Scritto da Ste

Top 3 opere d’arte contemporanea più scandalose

Scopri con noi 3 opere d’arte contemporanea emblematiche e scandalose.

L’arte contemporanea è stata spesso oggetto di intense polemiche. Eppure questi scandali erano presenti anche prima. Già nel 1541, Michelangelo attirò l’ira dell’opinione pubblica creando uno degli affreschi più famosi della Storia dell’Arte: il Giudizio Universale. Sulle pareti della Cappella Sistina, i corpi nudi furono rapidamente coperti dalla censura ecclesiastica.

Numerosi altri eventi segneranno coscienze e costumi, fino all’ascesa dell’Impressionismo, che confermerà l’opposizione tra la creazione contemporanea e il latente accademismo, il modello di una società puritana vacillante.

Qui non si evocano opere d’arte di provata indignazione: Merda d’artista di Piero Manzoni, Fontana di Marcel Duchamp o Comedian, comunemente nota come La banana, una performance dell’artista italiano Maurizio Cattelan. Vi mostreremo, invece, alcune opere d’arte contemporanea un po’ meno conosciute, ma altrettanto interessanti, per la loro dimensione polemica, così come la loro curiosa (e talvolta violenta) accoglienza da parte del pubblico.

Siete pronti? Facciamo spazio allo scandalo!

The Holy Virgin Mary (La Santa Vergine Maria), Chris Ofili, 1996

La Santa Vergine Maria è un dipinto creato dall’artista britannico Chris Ofili nel 1996. Raffigura una donna di colore che indossa un vestito blu, un indumento tradizionalmente attribuito alla Vergine Maria. Non è pero questo l’aspetto che ha attirato le critiche principali. La sua particolarità? L’artista ha utilizzato diverse tecniche nella realizzazione dell’opera: pittura ad olio, glitter, resina poliestere… e soprattutto: sterco di elefante e frammenti di immagini pornografiche! Infatti, intorno a questa vergine di colore, possiamo distinguere forme simili alle farfalle. Tuttavia, questi elementi grafici non sono lepidotteri, ma piuttosto attributi genitali femminili, generalmente lontani dagli standard artistici che circondano il soggetto sacro della Vergine Maria.

Per l’artista, ex chierichetto, questa opera d’arte non costituisce una vera e propria blasfemia, ma descrive la confusione che ha vissuto durante il suo apprendistato cattolico, di fronte all’incoerenza della narrazione che descrive la nascita della Vergine Maria. Egli considera questa opera d’arte come una “versione hip-hop” della tradizione pittorica degli antichi maestri.

L’opera è stata acquistata direttamente da Charles Saatchi, collezionista molto influente nel mondo dell’arte contemporanea, l’anno successivo al suo completamento. Fu poi presentato nel 1997 come parte della mostra “Sensation” al Brooklyn Museum di Londra, dedicata agli scandali artistici.
In questa occasione, Chris Ofili ha attratto un avversario potente: il sindaco di New York, Rudolph Giuliani.
Quest’ultimo, profondamente offeso dalla scoperta di questa opera d’arte, ha lanciato una crociata punitiva contro l’artista e l’istituzione che ospita l’opera, attraverso varie procedure e metodi più o meno discutibili. Egli si è spinto fino al punto di cercare di sopprimere la sovvenzione comunale di 7 milioni di sterline destinato a sostenere il museo, senza risultati in quanto l’istituzione ha vinto il caso in tribunale.

Questa miscela controversa di sacro e profano ha anche attirato un sacco di vandalismo. Nel 1999, l’opera d’arte è stata vittima della proiezione di vernice bianca da parte di un fervente attivista cattolico. Nello stesso anno, un artista di nome Scott Lobaido ha proiettato letame di cavallo sul plexiglas che copre l’opera, che ha considerato l’opera di Ofili come qualcosa che servisse a “denigrare la fede cattolica”. Dopo il loro intervento, le guardie del museo, non senza un tocco di umorismo e di disprezzo, hanno risposto: “Questa non è la Vergine Maria. È un dipinto”.

Da questi eventi, il dipinto ha continuato la sua impressionante ascesa al cuore della storia dell’arte contemporanea. Nel 2015, è stato venduto per 4,6 milioni di dollari. Nel 2019, è la consacrazione definitiva, in quanto diventa parte delle collezioni permanenti del Museo di arte moderna e contemporanea di New York (MoMA) di New York.

Self, Marc Quinn, 1991

Self è una serie di autoritratti dell’artista britannico Marc Quinn. Questi autoritratti, in forma di sculture, sono stati creati da uno stampo del volto dell’artista, riempito con il proprio sangue congelato (circa 5 litri di emoglobina per stampo). Questa serie non è ancora finita, dal momento che l’artista fa un nuovo autoritratto ogni 5 anni, da un cast aggiornato del suo volto e “nuovo” sangue.

Mettendo da parte l’aspetto profondamente cruento di questo processo, nessuno può rimproverare questo artista per non dare abbastanza di se stesso per rendere la sua opera personale. In effetti, Marc Quinn cerca di sfidare lo spettatore spingendo indietro i limiti del ritratto, creando un’opera d’arte “che non ha semplicemente la forma del modello, ma è in realtà fatto con la carne e il sangue del modello”.

Questa opera d’arte, meno divisiva rispetto alle precedenti perché è centrata su un approccio personale, non ha dovuto soffrire di vandalismo o obbrobrio popolare. Tuttavia, è stato oggetto di molti dibattiti intellettuali sulla sua rilevanza artistica, con alcuni che considerano questa opera d’arte come un terribile vampiro, e altri che credono che abbia un forte valore allegorico. Quest’opera d’arte può legittimamente salire al rango di autoritratti leggendari, da Van Gogh a Cindy Sherman, testimoniando in modo più o meno illuminato la fragilità dell’umanità, e permettendo allo spettatore di muoversi in un pacchetto di intimità dell’artista.

Piss Christ, Andres Serrano, 1987


Piss Christ è una fotografia del 1987 dell’artista nato a Brooklyn, Andres Serrano. Mostra un crocifisso di plastica immerso in un acquario pieno di urina e sangue.

Per l’artista, questa opera confusa dovrebbe essere vista come una critica dell’attività lucrativa del cattolicesimo e una “condanna di coloro che abusano dell’insegnamento di Cristo per servire i propri scopi vili”.

La portata altamente blasfema di questa opera d’arte causerà logicamente intense controversie, sia negli Stati Uniti che all’estero, specialmente in Francia. Sul continente americano, l’opera d’arte non è passata inosservata, anche facendo notizia su alcuni giornali nazionali. La rivista americana Time l’ha anche messa tra le 100 fotografie più iconiche di tutti i tempi.

L’opera è stata rapidamente premiata da una potente istituzione artistica nel 1989 (Southeastern Center for Contemporary Art), a sua volta finanziata con fondi pubblici. Alcuni senatori americani si sono rivoltati nei confronti di questo sostegno pubblico per un’opera che consideravano indecente. Una feroce battaglia senatoria seguì tra critici e sostenitori di questo approccio, sullo sfondo di un dibattito sulla libertà artistica.

Dopo questo intervento politico, l’opera è stata ripetutamente sottoposta a violenze infernali, sia negli Stati Uniti, in Svezia, o anche in Francia, dove è stata vandalizzata durante una mostra ad Avignone nel 2011 da diversi individui dotati di martelli e oggetti contundenti, che ha anche aggredito il personale del museo che ha interferito in questa macabra manovra.

Il direttore del museo ha ricevuto numerose minacce di morte, e una manifestazione che riunisce più di 1.000 persone è stata organizzata nella città dove l’opera è stata esposta.

Queste opere non sono ovviamente le uniche ad aver stimolato critiche e proteste. Avremmo potuto evocare le opere iper-sessualizzate di Robert Mapplethorpe, le sculture monumentali e contestate di Richard Serra o l’Albero di Natale di Paul McCarth facilmente paragonabile a un sex toy. L’arte ha costantemente suscitato scandalo, e continuerà a farlo.

E tu cosa ne pensi di queste opere? Qual è l’opera che avresti messo in cima alla classifica?

Scritto da Ste

Una tomba per le lucciole

Ecco il secondo articolo della Rubrica “Fuori tema” dedicato all’animazione giapponese (anime) e in particolar modo a quella dello Studio Ghibli.
Studio Ghibli perché credo sia il più conosciuto qui in Italia, il più apprezzato (a livello di contenuto e grafico) e il più ricercato.  Spero che abbiate tutti quanti visto, almeno qualche volta, alcuni dei loro film d’animazione; usciti, anche se per poco, al cinema.

In Occidente esiste da sempre, purtroppo, un pregiudizio molto forte nei confronti dell’animazione, un genere che spesso si è portati a ritenere, in modo affrettato e superficiale, come rivolto esclusivamente ai più piccoli. Se ci pensate è un cosa al quanto triste, perché se visionati uno ad uno, questi hanno degli insegnamenti molto profondi, che, ahimè, molti adulti hanno dimenticato o sono del tutto ignari.
Chi è di quest’idea farebbe bene a recuperare al più presto “Una tomba per le lucciole” di Isao Takahata (cofondatore dello Studio Ghibli nel 1985 insieme ad Hayao Miyazaki).
La scelta di questo film d’animazione, tra i tanti realizzati dallo Studio Ghibli, è ricaduta su questo perché credo che sia il più rivelatore ed evidente a livello di insegnamenti e a livello emotivo.

  • Ma vediamo un po’ più nel dettaglio questo film (ATTENZIONE SPOILER!!)

Il regista sceglie uno stile fortemente poetico ma  al contempo ancorato alla realtà, per rappresentare tutto l’orrore della guerra.
Il film, tratto dall’omonimo romanzo semi-autobiografico di Akiyuki Nosaka, è ambientato nella città di Kobe agli sgoccioli della seconda guerra mondiale.
Siamo nel giugno del 1945, con la popolazione giapponese sottoposta a continui ed estenuanti bombardamenti da parte dell’aviazione americana. Durante uno di questi, la madre del giovane Seita e della sorellina Setsuko viene ferita mortalmente, mentre il loro padre si trova lontano, impegnato come ufficiale nella Marina imperiale giapponese.
I due giovanissimi protagonisti vengono così accolti in casa di alcuni parenti, ma ben presto devono imparare a cavarsela da soli, per cercare di sopravvivere in mezzo a mille difficoltà, alla cronica mancanza di cibo e ai bombardamenti che proseguono incessanti, incuranti delle vite umane spezzate.
ImmagineNon era certo un’impresa semplice rappresentare tutto l’orrore e la follia della guerra attraverso un lungometraggio animato.
Per riuscirci, Takahata ricorre a una precisa cifra stilistica che alterna un crudo realismo a momenti toccanti e poetici di grande intensità, come nella scena in cui Seita e Setsuko catturano alcune lucciole per illuminare l’antro della caverna in cui si sono rifugiati.

Il regista dimostra tutta la sua maturità e maestria nel mantenersi il più possibile sobrio e asciutto nonostante il tema trattato, senza voler indurre a tutti i costi alla lacrima facile.
In Una Tomba per le lucciole emerge la vera natura umana che in tempo di guerra viene spogliata da ipocrisie e falsità per mostrare il suo lato peggiore fatto di crudeltà, egoismo e indifferenza.
cinema-tomba-per-le-lucciole-04Solo i bambini, anime pure e incontaminate, si salvano da questo scenario desolante, misero e meschino conservando, nonostante tutto, la loro voglia di vivere, ridere e giocare. Davvero ispirato e struggente il modo in cui Takahata porta sullo schermo il forte legame che unisce Seita e Setsuko, col primo che si dimostra fino alla fine un fratello maggiore dall’ammirevole e ostinato istinto protettivo nei confronti della sorellina. È un ragazzo costretto a crescere troppo in fretta, con una forte dignità messa a dura prova dal tragico scenario che lo circonda. Una Tomba per le lucciole è un film di rara bellezza, capace di sconvolgere totalmente le nostre coscienze e di ricordarci ancora una volta l’assurdità di ogni guerra e il pesante carico di morte e distruzione che si porta dietro.

Un film d’animazione giustamente privo di un finale consolatorio, probabilmente non adatto ai più piccoli ma rivolto a un pubblico adulto e a ragazzi che possano comprendere il nobile messaggio contenuto in esso, per sensibilizzarli da subito alla condanna di tutte le guerre.
Non è certo casuale, in quest’ottica, che i protagonisti della vicenda siano giovanissimi, come avviene nella stragrande maggioranza dei film prodotti in questi quasi trent’anni di attività dallo Studio Ghibli, rinomato, ammirato e stimato a livello internazionale.

  • Considerazioni conclusive:

Un altro aspetto interessante, essendo questo un film altamente realistico, è quello di venire a contatto con una realtà del tutto sconosciuta o poco trattata, che è quella, appunto, della vita dei civili giapponesi sotto questi ripetuti bombardamenti.
Vuoi per il forte realismo, vuoi per la crudeltà del contesto e il senso dell’abbandono, questo film è altamente commovente: è difficile farmi piangere e commuovere, però in questo caso….
Che dire?? Se non lo avete visto, vedetelo!! Se lo avete visto, rivedetelo!!

Vi lascio qui di seguito il link dello streaming del film ad alta risoluzione

http://www.guardarefilm.tv/streaming-film/4444-una-tomba-per-le-lucciole-1988.html

Scritto da Max

Due violoncellisti Rock n’roll

Per l’articolo di oggi ho deciso, ancora una volta, di parlare di musica… lo so che potrei risultare un po’ fissata, ma l’11 maggio ho avuto l’occasione e l’opportunità di assistere ad un meraviglioso concerto per festeggiare i cinque anni di attività di un portentoso duo, i 2Cellos e, perché non cogliere subito la palla al balzo per scriverci un bell’articolo?

Si parla spesso di commistione tra musica classica e rock, generi che apparentemente sono incompatibili e agli antipodi ma, chi ancora lo pensa, non ha mai avuto la possibilità di ascoltare questo duo che, con la propria musica, ha creato un perfetto connubio in grado di attirare un pubblico di diversa età e formazione.

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Luka Sulic (a sinistra) e Stjepan Hauser (a destra)

Luka Šulić e Stjepan Hauser provengono entrambi dal panorama musicale classico: Stjepan è stato uno degli ultimi allievi di Rostropovich, meritandosi il soprannome di “mago del violoncello”, mentre Luka ha vinto numerosi premi internazionali. Nel 2011 decisero di fondare questo duo, arrangiando brani di musica contemporanea in chiave moderna utilizzando, nelle loro esecuzioni, solamente i propri violoncelli. La loro fama incominciò però quando iniziarono a postare qualche video su YouTube: con le loro versioni di Smooth Criminal e di Thunderstruck riuscirono a raggiungere un numero di visualizzazioni tale da far invidia ad una pop star.

In poco tempo, le corde dei loro strumenti sono diventate le protagoniste del web, come anche la loro capacità di trasformare le sonorità di quei due strumenti tradizionali in qualcosa di assolutamente contemporaneo.

I 2Cellos sono, in fondo, due giovani di quell’Europa balcanica che da un po’ di anni sta ritornando sulla scena artistica internazionale e, rappresentano la voglia di dimostrare, attraverso la musica, il proprio merito. Non a caso, a notarli e a volerli nei propri concerti figurano Elton John, Lang Lang, Steve vai, Zucchero, Andrea Bocelli e tanti altri.

L’11 maggio, per l’appunto, hanno deciso di festeggiare il loro quinto anniversario con un concerto nell’Arena di Verona, riuscendo ottenere un sold out nell’unica data italiana.

Ad aprire la serata, però, altri due artisti d’eccezione: prima Remo Anzovino, uno degli esponenti più affermati e innovativi della musica strumentale contemporanea, che ha all’attivo quattro album e un recente progetto dedicato alla figura di Pier Paolo Pasolini, con la collaborazione di numerosi artisti di fama; seguito poi dal songwriter Lon Loman, uno fra i cantautori più promettenti dei Balcani che, sull’onda emotiva del rock-blues ha incominciato a scrivere la propria musica e a esibirsi in alcuni dei concerti europei dei 2Cellos.

eccomi

Stjepan Hauser e Luka Sulic durante il concerto dell’Arena di Verona del 11 maggio 2016

Poco dopo le 21 si materializzano sul palco Luka e Stjepan, accolti dal boato assordante di 12.000 spettatori riuniti nell’Arena. Questi due ragazzi appaiono diversi sia per carattere sia per il look: camicia nera e violoncello bianco per il primo, il più timido e riservato; camicia bianca e violoncello nero per Stjepan, estroso e pazzo, sempre pronto a far battute.

La scaletta del “5th Anniversary Special Concert” inizia con il pianissimo e le corde, che i due violoncellisti toccano, sono quelle dell’emozione più profonda.
Il concerto prende il via con le ariose atmosfere classiche di Oblivion di Astor Piazzolla, di Gabriel’s Oboe di Ennio Morricone e di Where the streets have no name degli U2; per poi prendere la parola Luka per affermare:

“Buona sera Verona e buona sera Italia. Grazie per essere venuti: è il nostro quinto anniversario e siamo in questa Arena bellissima. In questo concerto potete fare quello che volete: cantare, saltare, ballare e flirtare con chi avete vicino. Non è un concerto normale, quindi mettetevi comodi: per voi abbiamo bellissime canzoni”.

13230248_380226305485839_2151866262362155787_nIl filo dell’emozione porta alla morbidezza di Viva la Vida dei Coldplay, a Shape of my heart di Sting  e Resistance dei Muse, risvegliando il pubblico con questa scintilla di rock pronta a prendere fuoco. Regalano grandi emozioni le intense interpretazioni di With or without you degi U2, interpolata insieme a Con te partirò di Andrea Bocelli, e di Human nature di Michael Jackson. Ed è proprio con uno dei brani del Re del Pop, la trascinante Smooth Criminal, primo cliccatissimo successo dei 2Cellos su YouTube, che inizia la festa sugli spalti, con il pubblico che balla e scandisce il ritmo con gli applausi.

Welcome to the jungle dei Guns N’ Roses fa scattare la prima standing ovation, mentre con l’esplosiva Thunderstruck degli AC/DC fa il suo ingresso il batterista Dusan Kranjc, piccolo di statura ma decisamente potente, che conferisce un’impronta hard rock al concerto.
Dopo il successo di Smooth Criminal, i due violoncellisti ritornano a cimentarsi con il pop senza confini di Michael Jackson, in un’eccellente versione di They don’t care about us, che mantiene intatta la sua componente percussiva, mentre la linea melodica viene valorizzata dal violoncello.

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Stjepan Hauser durante l’esecuzione di Highway to Hell

Il concerto si chiude con un poker d’assi rock che toglie i freni inibitori a tutto il pubblico, ormai tutto in piedi a ballare: prima Smells like teen spirit dei Nirvana e poi You shook me all night long e Highway to hell degli AC/DC, con Stjepan che, saltando per tutto il palco con il violoncello, indossa un paio di corna da diavolo imitando Angus Young; infine Satisfaction dei Rolling Stones che da il via ad una lunga serie di applausi.

Da qui inizia la lunga serie di bis!

Il primo viene inaugurato dal Guglielmo Tell di Rossini che si trasforma improvvisamente in The trooper degli Iron Maiden, dimostrando la loro capacità di simulare con il loro violoncello la chitarra elettrica: un brano, quindi, che rappresenta perfettamente l’idea musicale dei 2Cellos, in bilico fra la classica e il rock. Luka e Stjepan arrivano anche ad interpretare i due brani più amati di sempre: Whole lotta love dei Led Zeppelin e Back in Black degli AC/DC.

La chiusura è invece totalmente classica, con Air on a G string di Joahnn Sebastian Bach, che dimostra tutte le loro straordinarie doti tecniche dovute agli anni di studio del repertorio classico.

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Il pubblico però non era ancora sazio: i 2Cellos decidono quindi di dedicarci la canzone dance contemporanea Wake me up di Avicii e We found love di Calvin Harris, rese ancora più sconvolgenti da una pioggia di coriandoli dorati lanciati in aria.
Con l’ultima canzone, Fields of gold di Sting, parte l’applauso interminabile per salutare i due eccellenti performer, che per due ore ci hanno emozionato senza mai una pausa o un calo di tensione.

Ecco qui un po’ di foto di questo straordinario ed emozionante concerto!

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Vi invito inoltre a farvi un’idea ascoltando qualche loro canzone su Youtube, così che possiate provare, almeno in parte, le stesse mie sensazioni.

Scritto da Malerin

Lewis Carroll e Jabberwocky

I racconti di Lewis Carroll hanno sempre affascinato grandi e piccini: il suo mondo, ricco di pazzia, di paradossi e di assurdità, ci ha sempre permesso di evadere, di lasciare temporaneamente questa dimensione sbiadita, per entrare in una realtà popolata da creature fantastiche e spesso stravaganti, una realtà in cui risulta quasi all’ordine del giorno prendere il the, in compagnia di un cappellaio e di un ghiro, o scontrarsi con un esercito il cui corpo è costituito da carte.

Lewis Carroll però non scrisse solo Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie ma scrisse anche un seguito, Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò: nato come semplice continuazione per sfruttare il grande successo del primo volume, questo libro risulta meno onirico e più malinconico, ancor più ricco di giochi di parole e proverbi.

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Illustrazione di John Tenniel: Alice, curiosa, decide di attraversare lo specchio per scoprire cosa ci fosse al di là

La storia, questa volta, inizia con un Alice curiosa, che si domanda cosa ci potrebbe essere al di là dello specchio e, riuscita ad oltrepassarlo, trova un diario contenente un testo incomprensibile, parole ricche di un significato che lei non riesce a comprendere: il Jabberwocky.

Jabberwocky (in italiano Ciarlestrone, Ciaciarampa, Tartaglione o Giabervocco) viene considerato il più illustre nonsense scritto in lingua inglese totalmente composto da parole inventate dallo stesso Carroll, un testo spesso studiato da molti autori e traduttori, che vengono stuzzicati da questa sfida nell’affrontare un bizzarro contenuto ricco di tranelli linguistici molto sottili e difficili da individuare, non solo da tradurre.
La maggior parte delle parole presenti rientrano nella categoria delle parole “macedonia”, vale a dire parole nate dalla fusione di due parole diverse che, il più delle volte, hanno un segmento, una parte in comune.

Vediamo ora qualche estratto:

“And as in uffish thought he stood
The Jabberwock, with eyes of flame,
Came whiffling through the tulgey wood,
And burbled as it came!

One, two! One, two! And through and through
The vorpal blade went snicker-snack!
He left it dead, and with its head
He went galumphing back. “

Tradotto in italiano:

“E mentre in bellico pensier si trattenea,
Il Ciarlestrone con occhi di brage
Venne sifflando nella tulgida selva
Sbollentonando nella sua avanzata!

Un, due! Un, due! E dentro e dentro
Scattò saettante la vorpida lama!
Ei lo lasciò cadavere, e col capo
Se ne venne al ritorno galumpando.”

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Jabberwocky in un’illustrazione di John Tennil

Quindi, questo Jabberwocky viene visto, nella poesia, come una creatura mostruosa, molto simile ad un drago, con occhi di fiamma e un’andatura traballante, un essere che vive nelle selve aspettando gli uomini che, ignari, se lo ritroveranno davanti. Questo mostro verrà però ucciso dalla lama della spada di un fanciullo, probabilmente il Re Rosso, visto che il diario dovrebbe appartenere a lui.

Questo nonsense è, però, per sua natura indefinibile, non è solo assenza di significato o negazione, ma si spiega attraverso se stesso, ponendosi al di qua e al di là del significato. Diventa quindi un’immagine speculare e capovolta della realtà, stranamente identica ma diversa che è, in un certo senso, la traduzione del linguaggio comune in un linguaggio proprio della fantasia, della follia, della trasgressione e, piuttosto che non significare nulla, decide di significare il nulla.

Alice stessa tenterà di dargli un significato ma, la sua prima reazione è quella di affermare “in some language… I don’t know”.

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L’incontro con Humpty Dumpty in un’illustrazione di John Tenniel

Si presume allora che, trovando una chiave, la poesia di possa leggere ma, non per questo darle un significato; quindi Alice l’accantona momentaneamente, fino all’incontro con Humpty Dumpty, l’arrogante personaggio dalla testa ad uovo che può dare alle parole un significato. Proprio a lui chiederà il significato della prima strofa, dandole però una spiegazione capricciosa e casuale.

Il nonsense di Lewis Carroll è, più di ogni altro, una pazzia, una pazzia che ha però un metodo.
Se analizziamo il Jabberwocky secondo i quattro livelli linguistici (fonetico, morfologico, sintattico e semantico), ci accorgiamo che i primi tre livelli sono del tutto normali, mentre il semantico è sicuramente bizzarro. I suoni risultano tutti pronunciabili, la morfologia e la sintassi sono regolari ma, quando ci troviamo davanti alla semantica, affrontiamo il vuoto.
Ci ritroviamo ad esplorare dei percorsi fatti da associazioni automatiche, con aree sfumate che cercano di dare a tutto un senso.

Descritta così, sembrerebbe una missione impossibile, ma in realtà numerosi sono stati i tentativi di traduzione, fin dai tempi dello stesso Carroll. In epoca più recente, questa poesia ha perso il suo carattere infantile e giocoso e, il tentativo di rendere la parodia finisce per uccidere la leggerezza della filastrocca.

Chi si è riavvicinato sicuramente al lato “infantile” è senz’altro Raphaël Urwiller, non tanto per la linguistica ma, nel rappresentare tutta la storia in nuovo libro illustrato, con immagini più giocose e meno inquietanti rispetto a quelle di John Tenniel.

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Tre colori a tinte speciali (rosso, verde e bianco avorio) raccontano della battaglia contro il mostro Jabberwocky, una specie di drago-serpente gigantesco che si trasforma quasi in un arcobaleno per piacere di più ai bambini.

Il Jabberwocky non compare però solo in letteratura o in album illustrati, ma anche nei film! Terry Gilliam dedicò un film alla figura di Jabberwocky nel 1977, dando al tutto un carattere divertente e dal sapore medievale, mentre in Alice in Wonderland di Tim Burton, sarà la stessa Alice a combattere contro Ciaciarampa, decapitandolo con la sua spada.

Scritto da Malerin

Fotografare il movimento

In questo mio primo articolo della rubrica “Fuori tema”, ho deciso di parlarvi della fotografia. Anche la fotografia ricopre un ruolo artistico importante, ma non sempre è stato cosi e vedremo perché. Di questo tema, molto ampio, ho deciso di parlarvi della fotografia dinamica, cioè fotografare il movimento.
Se già la fotografia era di per sé, al tempo, un’invenzione e innovazione meravigliosa, figuriamoci poi con l’avvento della fotografia dinamica.

  • Introduzione alla nascita della fotografia

La fotografia fece la sua comparsa ufficiale nel 1838, quando Louis-Jacques-Mandé Daguerre (1787-1851) comunicò all’Accademia delle Scienze un procedimento, che egli aveva perfezionato e denominato dagherrotipo, per fissare un’immagine proiettata nella camera oscura sopra una lastra d’argento. Sin dal 1826, però, il fisico Nicéphore Niepce (1765-1833) aveva compiuto i primi esperimenti per riprodurre immagini naturali a mezzo della camera oscura, associandosi nel 1829 a Daguerre.

  • Fotografia e pittura

Un aspetto interessante della nascita della fotografia, è che sin dall’inizio essa non ebbe rapporti facili con la pittura, perché, sviluppando soprattutto il genere della ritrattistica – il cui rappresentante più significativo fu Gaspar-Félix Tournachon, detto Nadar (1820 – 1910) – sottrasse occasioni di lavoro ai pittori, fornendo prodotti più accessibili e meno costosi. Si pensi, per citare un precoce esempio italiano, al caso della ditta Alinari, nata a Firenze nel 1854, che aprì un fortunatissimo laboratorio dedicato in particolare al ritratto, in stretta dipendenza dalla pittura.
Tuttavia la fotografia investe ben presto anche il mondo artistico, poiché è subito chiaro che il nuovo mezzo, strumento di sempre più precisa rappresentazione, descrizione e conoscenza delle cose, offre una molteplicità di applicazioni possibili. Molti artisti la adottano come supporto al proprio lavoro, per esempio sostituendo il modello vivente con meno costose fotografie di nudi maschili o femminili; altri se ne servono per prendere più velocemente appunti visivi invece di eseguire schizzi e disegni; altri ancora – è il caso di Nadar, inizialmente modesto pittore e buon caricaturista – si riciclano come fotografi, un mestiere che poteva essere assai richiesto, soprattutto per la ritrattistica.
Ci volle comunque parecchio tempo perché i pittori riconoscessero dignità al nuovo mezzo, al quale intanto veniva affidato il compito di documentare svariati aspetti della realtà: i paesaggi, le vedute urbane, i monumenti più significativi, i ritratti di personaggi di rilievo o anche scene tradizionalmente affidate ai pittori, come quelle dei campi di battaglia.

  • Fotografare il movimento: la cronofotografia e le sequenze

Fu necessario molto tempo, dopo l’invenzione della fotografia, perché questo mezzo venisse usato in modo da non imitare la pittura, ma piuttosto da suggerire a quest’ultima stili, temi e sistemi inediti.
Anche se non intenzionalmente, i due fotografi scientifici Marey e Muybridge furono tra i primi a imprimere questa svolta.
Etienne-Jules Marey (1830-1904), un medico fisiologo francese, ideò numerosi stratagemmi per documentare alcuni fenomeni dinamici naturali, come il volo degli uccelli o il ritmo del cuori di alcuni animali.
Fra il 1880 e il 1890 usò con gli stessi intenti la macchina fotografica inventando la cronofotografia (dal greco chronos, tempo), cioè una fotografia che riassumesse in un’unica immagine varie frazioni di tempo: aprendo e chiudendo ritmicamente l’otturatore dell’obiettivo, registrava su di una stessa lastra la sequenza di un movimento, scomponendolo in istanti successivi.

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Etienne-Jules Marey, Uomo che cammina indossando un vestito nero con striscia bianca ai lati, 1883, Cronofotografia

Per documentare con diagrammi il dinamismo della camminata di un essere umano, faceva indossare al soggetto una tuta nera con delle strisce bianche ai lati: in questo modo l’obiettivo registrava la sequenza delle strisce.
Lo scopo dello studioso era capire il funzionamento della macchina-uomo per progettare delle macchine utili, dalle pompe per il cuore alle macchine voltanti.

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Etienne-Jules Marey, Movimenti Salto con l’asta, 1885 ca.

Nello stesso periodo il fotografo inglese Eadweard Muybridge (1830-1904), che lavorava negli Stati Uniti, studiava gli animali in movimento: un governatore della California, proprietario di cavalli da corsa, gli aveva commissionato uno studio sperando di ottimizzare i metodi di allevamento.

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Eadweard Muybridge, Sequenza di un cavallo al galoppo

Il metodo usato da Muybridge, consisteva nel fotografare gli animali in movimento attraverso gli scatti in successivi di una serie di macchine fotografiche dislocate a distanza regolare su percorso: al passaggio del soggetto in movimento, ne fissavano un’immagine statica che recuperava il senso del dinamismo una volta messa in sequenza con le altre.

  • Cronofotografia e pittura

L’influsso degli studi di fotografia in movimento esercitarono una profonda influenza sull’avanguardie artistiche del Novecento, a partire dal futurismo.
Una fonte importante alla quale attinsero i pittori futuristi, in particolare Giacomo Balla e la prima fase artistica di Marcel Duchamp, furono le fotografie sequenziali scattate da  Marey e Muybridge.

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Marcel Duchamp, Nudo che scende le scale n°2, 1912, Philadelphia

Duchamp non iniziò a sconvolgere il pubblico colto delle avanguardie storiche con l’Orinatoio, bensì dal Nudo che scende le scale N. 2, opera realizzata nel 1911 e rifiutata dalla rappresentanza cubista al Salon des Indépendant del 1912.
I suoi colleghi e amici cubisti, ai quali si legava anche poeticamente, denigrarono l’opera, sottolineando che non potesse rientrare nel loro ambito.
Il quadro riprendeva solo ironicamente le condizioni cubiste, a partire dal titolo che spiegava puntigliosamente cosa volesse rappresentare.
Così, Duchamp si discostava dall’esperienza cubista per passare a qualcosa di nuovo. Venne accusato di meccanicismo, e non poteva non esserlo!

 

Per la composizione si ispirò direttamente alle foto di Étienne-Jules Marey e Eadweard Muybridge, che sperimentarono nella seconda metà dell’Ottocento la tecnica della cronofotografia, in particolare la seguente:

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Eadweard Muybridge, Figura umana che scende una scala, 1872, cronofotografia

A livello pittorico si avvicina a qualcosa molto vicino all’idea di movimento: il Futurismo.
Questa influenza è magistralmente rievocata con l’accostamento alla Bambina che corre sul balcone del futurista italiano Giacomo Balla, quadro del 1912, anch’esso ispirato dalla cronofotografia.

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Giacomo Balla, Bambina che corre sul balcone, 1912, Milano

Nella resa del movimento l’atteggiamento di Balla è più pragmatico e analitico.
Il movimento è trascritto in una serie di sfumate ma sono perfettamente distinguibili le immagini successivi, ovvero la sequenza del movimento.
Balla rappresenta cinematograficamente una sequenza di posture, senza esprimere la continuità e la simultaneità del dinamismo, in significativa consonanza con le soluzioni di Duchamp.

Concludo lasciandovi la visione di questa raccolta di fotografie di Marey e Muybridge con una sorpresa finale: una fotografia eseguita da Eliot Elisofon che ritrae Marcel Duchamp intento a rappresentare una delle sue opere, quella di cui abbiamo parlato oggi.
Inoltre vi invito, se interessati alla fotografia, di non perdervi la mostra fotografica su Robert Doisneau, ecco il link illustrativo: https://www.milanoweekend.it/2016/03/10/robert-doisneau-monza/67617#.VvwNv-Rf270

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Scritto da Max

Maurice Ravel e il celebre Boléro

Con questo primo articolo, si apre la nostra nuova rubrica dedicata al Fuori tema, dove lasceremo un po’ di spazio a tutte quelle discipline artistiche che non sono pienamente arte, che non producono un’opera pittorica o scultorea, ma che comunque lasciano una testimonianza, sia visiva, musicale o letteraria.
Da amante incondizionata della musica, ho deciso di dedicare il mio primo articolo ad un compositore francese del secolo scorso, un uomo che in sé racchiudeva la natura di pianista, scrittore, compositore e direttore d’orchestra: sto parlando di Maurice Ravel.

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Nato nel 1875 da padre di ascendenza svizzera e madre di origine basca, fin dall’età di sette anni sviluppò il suo amore e il suo interesse per la musica, avvicinandosi al pianoforte. Studiando al Conservatorio di Parigi, il nostro inesperto musicista poté conoscere altri giovani compositori che, come lui, avevano trovato la propria strada nel mondo della musica. Già in quegli anni, compose le prime pagine di alcune opere vocali da camera e i primi pezzi per pianoforte. Dal 1898 si iniziarono ad eseguire, in tutta Parigi, le sue opere, considerate troppo rivoluzionarie sia dal pubblico che dalla critica e, forse anche per questo motivo, Ravel non riuscì mai a vincere il premio Prix de Rome, una borsa di studio istituita dal governo francese per premiare tutti gli studenti meritevoli nel campo delle arti. Questo disprezzo verso le sue opere innovative lo portarono ad abbandonare l’ambiente “ufficiale”, per dedicarsi unicamente alla composizione, tant’è che ricomparve come interprete della propria musica solo in un breve periodo, tra il 1920 e il 1930. Dal 1927, però, iniziò a soffrire di una leggere demenza che divenne progressiva e gli impedì, gradualmente, di parlare, di scrivere e di suonare e, gli ultimi anni della sua vita li passò così, senza poter esprimere il proprio vero io.

Maurice-Ravel_2Ravel fu un musicista dalla forte individualità, ma deve i fondamenti del suo linguaggio alla conoscenza delle opere debussiane degli anni Novanta dell’Ottocento, tant’è che fu considerato una sorta di seguace di Debussy. La sua produzione non fu abbondante, ma ogni opera era il frutto di una lunga ed intensa maturazione, che sottostava al suo forte spirito di critica e alla sua impeccabile tecnica. La sua formazione derivava dall’assimilazione di numerosi stili, non solo quelli a lui più vicini, come il jazz, ma anche molti aspetti derivanti dalla tradizione, come la musica rinascimentale e barocca o il folklore, da cui deriveranno i suoi omaggi alla musica tradizionale spagnola (tra cui il famoso Boléro del 1928). Questa tendenza ad assimilare i vari stili, che non è assolutamente presente in Debussy, è un chiaro sintomo del cambiamento dei tempi: nelle mani di Ravel, la musica sembra rinnovare il suo statuto estetico e, da strumento di manifestazione dei moti dell’animo diventa, a poco a poco, uno strumento di elaborazione del lessico musicale. Come diventerà tipico nella musica colta del Novecento, il linguaggio musicale tende ad assolutizzarsi, trasformandosi da strumento dell’espressione a contenuto dell’espressione.

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Ravel (al piano) e il direttore d’orchestra Paul Whiteman

Ravel è un compositore che identifica la sua personalità di artista nel piacere della scrittura: aveva una maniacale coscienza del suo status di artigiano della musica, al punto che Stravinskij arrivò a definirlo “un orologiaio svizzero” per la sua abitudine di consegnare, al pubblico, opere totalmente rifinite, pulite fin  dei minimi particolari. Arrivò ad interessarsi ad ogni aspetto della scrittura musicale e, soprattutto, il trattamento dell’orchestra che esaltava al massimo la sua creatività.

Di lui ricordiamo le opere dalle movenze spagnolesche, come l’Heure espagnole e la Rapsodia orchestrale; ricordiamo il concerto per pianoforte e orchestra de L’enfant et les sortilèges, scritto per la sola mano sinistra perché destinato a Paul Wittgestein che perse il braccio destro durante la Prima Guerra Mondiale; ricordiamo il suo amore per il valzer viennese, che riportò nell’opera Valses nobles et sentimentales per il pianoforte e ne La valse per l’orchestra e, il suo amore per le armonie blues riportate nella Sonata per violino e pianoforte del 1927 ma, soprattutto, il nome di Ravel è associato al famoso Boléro.

Il Boléro è uno degli ultimi brani scritti da Ravel: è un brano per orchestra in do maggiore composto nel 1928 come musica per balletto, commissionata al compositore dalla danzatrice russa Ida Rubinstein e da lei stessa messo in scena all’Opéra di Parigi.
Il brano, che ha un movimento dal ritmo e tempo invariabili, ha una melodia uniforme e ripetitiva, che cambia soltanto per quanto riguarda l’orchestrazione, con un crescendo progressivo fino alla fine. A questo proposito, lo stesso Ravel disse:

“È una danza in un movimento moderato e uniforme, sia per la melodia, sia per l’armonia e il ritmo quest’ultimo suonato, senza interruzione, dal tamburo. Il solo elemento di diversità è dato dal crescendo orchestrale”

Quest’opera così particolare, che Ravel considerava come un semplice esercizio e studio d’orchestrazione, fin dall’inizio divenne molto famosa al punto che, ancora oggi, è uno dei brani più eseguiti al mondo.
La storia del Boléro iniziò nel 1927, quando Ida Rubinstein commissionò a Ravel un balletto dal carattere spagnolo. Il compositore, entusiasta per questa commissione, decise di orchestrare sei pezzi estratti dalla suite per pianoforte Iberia del compositore spagnolo Isaac Albéniz, i cui diritti, però, erano di proprietà dell’allievo di Albéniz, Enrique Arbòs. Così Ravel, che aveva già incominciato a lavorare al pezzo, stava quasi per abbandonare il progetto. Da qualche tempo, però, stava pensando di scrivere un pezzo sperimentale senza una forma vera e propria, senza uno sviluppo e senza modulazioni, con solo il ritmo e l’orchestra…e così, nacque il Boléro.

Composto tra il luglio e l’ottobre 1928, venne messo in scena da Ida al Teatro Nazionale dell’Opéra, di Parigi, il 22 novembre 1928, sotto la direzione orchestrale di Walther Straram.

La storia è ambientata in un bar spagnolo dove Ida Rubinstein aveva il ruolo di una danzatrice di flamenco.

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Dato il successo che questo pezzo ebbe fin da subito, fu eseguito anche come brano da concerto distaccato dal balletto. Questo, però, portò a differenti interpretazioni del brano stesso, tanto che in diverse riprese Ravel volle precisare le sue intenzioni riguardo a esso, affermando che il Boléro doveva essere eseguito in un tempo unico dall’inizio alla fine, senza prescindere dalle melodie arabo-spagnole.
L’estratto da concerto venne scritto per l’orchestra sinfonica e pubblicato nel 1929: constava in ottavino, due flauti, due oboi, corno inglese, tre clarinetti, due fagotti, controfagotto, tre sassofoni, quattro corni, quattro trombe, tre tromboni, tuba, arpa, celesta, batteria (due rullanti, tre timpani, grancassa, piatti a due e tam- tam) e, infine archi. Nello stesso anno, Ravel fece altre due riduzioni per pianoforte, riduzioni che, però, non sono molto eseguite in pubblico.

Secondo alcuni, nel Boléro c’è una rinuncia, da parte di Ravel, alla musica tonale mentre, altri ancora, vi vedono nella ripetizione meccanica e nel crescendo, un’opera piuttosto tormentata…personalmente, io credo che sia una delle opere più geniali che siano mai state scritte.

Vi lascio con questo simpatico video realizzato nel 2013 dall’Orchestre national d’Ille-de-France, che ha deciso di mettere in scena il Boléro di Ravel con un flashmob (ben riuscito) nella Stazione Saint Lazare a Parigi.

Scritto da Malerin

Il nostro Identikit

Dopo più di un mese di attività, ci è venuta la brillante idea (magari, penserete che era anche l’ora) di presentarci : questa, non sarà una presentazione classica, non saremo seri e professionali ma, proveremo a raccontarvi la nostra personalità, i nostri gusti- insomma, il nostro io- in maniera ironica, per farvi capire chi siamo e, al tempo stesso, strapparvi qualche risata. Qui, però, viene il bello, perché la nostra mente (un po’ perversa), ci ha portati a descrivere non noi stessi, ma l’altro.
Per farlo, abbiamo deciso di identificarci in questi due ritratti d’arte di artisti famosi (Gericault e Leonardo), perché fisiognomicamente simili a noi, non tanto fisicamente, quanto nell’espressione che delle volte abbiamo.

MAX secondo Malerin

Theodore-Gericault MAX


Ruolo all’interno del blog: Capo redattore (comandino per eccellenza);

Punti di Forza: misantropia a livelli stellari, odia la gente…odia anche me; è inespressivo, assume la stessa faccia per ogni situazione, dalla contentezza all’odio profondo (come nel ritratto…lui è identico! No dai, non tanto poverino);

Punti Deboli: ci sono delle volte in cui Max non riesce a trattenere la sua inespressività, generalmente per qualcosa che lo diverte e incomincia la sua risata isterica, di cui ho avuto l’onore di assistere ad una lezione universitaria: inizia a ridere e non finisce più, arriva quasi a soffocare.

Il nostro capo redattore mi ha confessato, perché non ha resistito e non ce la poteva fare più (e questo l’ha fatto solo ieri), che ha odiato per un mese i miei articoli, non tanto per il contenuto o la forma o per l’argomento che trattavo, ma per la firma (ebbene si!): tutto contento, se li leggeva, era fiero di me…ma poi arrivava in fondo, vedendo la firma, gli saliva l’omicidio (vedeva la mia firma: [Scritto da: Malerin], che oltretutto era sul lato sinistro dell’impaginazione e non sul destro…questa cosa non lo faceva dormire la notte e la domenica era il suo incubo peggiore).
Sul fatto della sua misantropia, esistono tuttavia delle eccezioni: pochi eletti hanno l’opportunità di essere nella sua cerchia di amici e, anche se dice che non mi odia (e mi odia, fidatevi), io sono in quella cerchia. Per far parte di questo gruppo ristretto, bisogna avere dei requisiti imprescindibili che non vanno oltremodo accantonati.
Se avrete l’occasione di incontrarci e conoscerci, badate bene di non dire, davanti a lui, determinate cose e, come vi ho accennato prima, lo vedrete sempre con la stessa espressione, come quella del ritratto. Indi per cui, non ditegli mai “Sei arrabbiato?”, perché la sua espressione potrebbe peggiorare e il suo odio accumularsi. Non è arrabbiato, ma si arrabbia se glielo chiedete (e io glielo chiedo spesso e forse, per questo, mi odia).
Lui è un fanatico di arte orientale (soprattutto giapponese) e, quindi, per questo genere di cose pretende solo la perfezione e, in caso di delusione, diventa un demonio. Sono un po’ preoccupata perché avrei già pensato di scrivere qualcosa sull’arte giapponese, facendomi sapere da subito che non avrebbe fatto sconti a nessuno.
Potrei dilungarmi ancora, ma ora (purtroppo), tocca a lui descrivermi…
P.s: quando vi parla, potreste non sentirlo, perché bisbiglia. Dice di sentire la sua voce forte ma, in realtà, è solo un sussurro. Avrà forse il potere del super udito? 🙂
P.p.s: Per ogni cosa…un tocco, un urlo, un suono troppo alto, insomma QUALSIASI cosa, si spaventa. Quindi non ha solo un super udito, ma anche una super sensibilità?

MALERIN secondo Max

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Ruolo all’interno del blog: vice capo redattrice (irreperibile quando serve)

Punti di forza: solare, estroversa, fa amicizia facilmente (senza aver un criterio ben preciso), quindi chiunque può essere suo amico, il che attira anche casi disperati e purtroppo, posso confermarvi ciò che dico perché, ahimè! me ne ha fatti conoscere ben due.

Punti di debolezza: potrei fare un elenco infinito, ma sono tutte cose che rientrano nella stessa categoria: la nostra cara, dolce Malerin è maledettamente un’iraconda.

La nostra vice caporedattrice ha un non so cosa di altamente irritante e esasperante, non so voi ma io delle volte ho voglia [forte] di ucciderla e vi spiego il perché: quando hai bisogno di lei, le scrivo sul cellulare e contemporaneamente su più social e ovviamente non risponde MAI. Perché la nostra “dolce” Malerin mette il cellulare in modalità zombie perché, come dice lei, “il cellulare si scarica“… altra cosa davvero irritante.
Capita delle volte, quando usciamo per andare a vedere mostre o uscite di piacere, che mentre parla urla. Lei non se ne rende conto e quando glielo faccio notare si irrita. Proprio in questo momento è stata appena richiamata per abbassare la voce, non vi descrivo il suo volto di odio che lascia trasparire anche arroganza.
Ci sono delle volte, quando ci incontriamo per sistemare il blog o scrivere articoli, in cui se ne esce con brillanti idee, ma, a causa della sua memoria a breve termine, se ne dimentica nell’immediato; allora si mette a fissarti come la donna nel ritratto: questa cosa inquieta non poco e anche in questo caso non se ne rende conto.
Due sono le cose che la contraddistinguono: gli abbracci e la musica, ma vediamo un po’ più nel dettaglio queste sue fissazioni.
Ogni qual volta che la si incontra, bisogna abbracciarla, sarà per carenza di coccole e affettuosità; questo può anche starci, è nella norma salutare, anche per me che sono misantropo; è la musica che proprio… boh.
Lei ascolta una musica che pochi hanno il piacere di ascoltare, non so voi ma a me piace definirla non musica, quanto più un richiamo al satanismo: il Metal. Una fissazione che la porta anche ad indossare magliette e felpe delle band, proprio con questi simboli arcani che proprio boh… Satana ecco! Forse proprio da questa musica aggressiva e violenta, si fonda parte del suo carattere irascibile. Fortunatamente ha anche altri generi musicali più “umani”, che fondano l’altra parte del suo carattere dolce e premuroso (ed è questa la parte che meglio conosco, l’altra non sono proprio interessato a conoscerla).

Potrei dilungarmi ancora, ma è tempo di lasciarci, tanto in pochi leggeranno. Per chi, invece, fosse interessato, a conoscerci nel dettaglio, può aspettare la nostra futura pubblicazione in cui ci raccontiamo (libro che uscirà nel 2000MAI).

Per chi ancora non fosse a conoscenza del perché questo blog, ecco una pagina esplicativa:
https://spuntisullarte.wordpress.com/perche-questo-blog/

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Scritto da Malerin e Max