Da Beethoven a Klimt: la Nona sinfonia

Considerata da molti la più grande composizione musicale dalla storia, capolavoro immortale del genio Ludwig Van Beethoven, la Nona sinfonia è forse una delle opere più note di tutta la musica classica. Chiamata anche Sinfonia Corale, la Sinfonia n. 9 in Re minore e coro finale Op. 125 è l’ultima portata a termine dal compositore tedesco: eseguita per la prima volta il 7 maggio 1824 al Teatro Porta di Carinzia di Vienna, venne diretta dallo stesso Beethoven nella più completa sordità.

La Nona sinfonia prese forma molto lentamente nell’arco della vita di Beethoven: si può risalire al periodo in cui il compositore, non ancora ventenne, frequentava l’élite intellettuale di Bonn. È quindi molto probabile che, frequentando questo fervido clima culturale, sia entrato in contatto con le opere di Schiller, in particolare con l’Ode An die Freude, che lo stesso Beethoven riprenderà per il gran finale della sua Nona sinfonia.

Ludwig van Beethoven

Ludwig Van Beethoven (1770-1827)

Quindi, già allora, Beethoven aveva immaginato di mettere in musica questa poesia, ma il progetto non andò in porto, forse anche a causa della censura che colpì le opere di Schiller, additate come immorali e pericolose. Questo progetto, però, rimase sempre nella mente del compositore e, solo nell’estate del 1822, lo rispolverò per la prima volta, fondendo insieme due suoi lavori sinfonici: la prima era una composizione in Re minore, la seconda un intervento corale su un testo che non era ancora stato scelto.
Nel 1823, i due progetti confluirono in un’unica grande composizione, che appariva il frutto di una lunga maturazione: un capolavoro rivoluzionario, non solo per la presenza delle voci e del coro, ma perché metteva in crisi il concetto vero e proprio di “sinfonia”.
Oltre ad essere una sintesi di tutto ciò che era stato sperimentato fino ad allora per quanto riguarda il genere sinfonico, la Nona è una grandiosa architettura sonora nella quale Beethoven fa confluire altri generi musicali (lo stile operistico, la musica militare e la scrittura polifonica tipica della musica sacra).

La Nona si presenta quindi suddivisa in quattro movimenti, in cui Beethoven inserisce per la prima volta uno scherzo, un ritmo ternario che punta alla giocosità per alleggerire il movimento lento e il finale.

Dei quattro movimenti, la parte che tutti conoscono, forse anche perché la melodia venne adottata come Inno d’Europa nel 1972, è sicuramente quella finale: l’Ode an die Freude o Inno alla gioia. Il  tripudio musicale dell’ultimo movimento diventa una festosa annunciazione di un messaggio di libertà e di fratellanza universale, che riprende da Schiller l’idea di una nuova società:

«Gioia, bella scintilla divina,
figlia dell’Elisio,
noi entriamo ebbri e frementi,
o celeste, nel tuo tempio.
Il tuo incanto rende unito
ciò che la moda rigidamente separò,
i mendichi diventano fratelli dei principi
dove la tua ala soave freme […]

Abbracciatevi, moltitudini!
Questo bacio vada al mondo intero!
Fratelli, sopra il cielo stellato
deve abitare un padre affettuoso.

Gioia si chiama la forte molla
che sta nella natura eterna.
Gioia, gioia aziona le ruote
nel grande meccanismo del mondo»

Secondo questa lirica, la gioia non deve essere intesa come allegria o spensieratezza, ma come risultato cui l’uomo deve giungere seguendo un percorso graduale, liberandosi dall’odio, dalla cattiveria e dal male.

L’esortazione dei versi di Schiller, che ci invita ad abbracciarci e a rimanere uniti, rende sempre attuale il valore di questi versi e di questi suoni. Forse, anche per questo motivo, Josef Hoffmann decise di dedicare la XIV mostra della Secessione al “genio titanico” di Beethoven.

L’architetto austriaco, nel 1902, converte quindi lo spazio del Palazzo della Secessione di Vienna per ospitare questa mostra, trasformandolo in uno spazio templare a tre navate, di cui una dedicata al famoso fregio di Klimt. Nel suo complesso, questa nuova scenografia aspirava ad avvicinarsi, con la simbiosi di musica e arti visive, all’opera d’arte totale teorizzata da Richard Wagner.

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Max Klinger, Beethoven, 1897-1092, avorio, marmo, bronzo e materiali vari, Lipsia, Museum der bildenden Kunste

Fulcro di questa mostra era un monumento policromo di Beethoven, in cui lo scultore, pittore e incisore tedesco Max Klinger aveva voluto riecheggiare il colosso crisoelefantino (in oro e avorio) di Zeus, eretto da Fidia nel tempio di Olimpia.

Il Fregio di Klimt ornava invece la parte superiore di tre pareti di una sala laterale, articolando la rappresentazione allegorica (di 34 metri totali) con temi ispirati alla Nona sinfonia. L’artista ricorre qui a ricercate elaborazioni disegnative, recuperando materiali e tecniche estranei alla consuetudine della pittura ottocentesca, come le superfici dorate o smaltate, il graffito e il mosaico, tradizionalmente attribuibili alle “arti minori”.

I tre momenti che Klimt decide di rappresentare in questo lungo fregio, che riprende la narrazione a fascia utilizzata dagli egizi, sono: l’Anelito della felicità, l’Ostilità delle forze avverse e il Trionfo della Poesia.

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Foto dell’allestimento della mostra dedicata a Klimt a Palazzo Reale (Milano), 2014

Con una scelta compositiva assolutamente inedita, la lunga parete di sinistra, di fronte all’ingresso della sala nella collocazione originale, è lasciata quasi completamente nuda.
Lungo il margine superiore, un sottile ricamo di figure femminili distese, protese verso l’infinito e a malapena tratteggiate, conduce lo sguardo dello spettatore verso un gruppo isolato, che rappresenta appunto il sofferto anelito umano verso la felicità.
Un uomo forte e ben armato, voltato verso destra e somigliante nei tratti del volto a Gustav Mahler, viene rappresentato nei panni di guerriero in armatura dorata, mentre si prepara a superare una serie di avversità, spinto dalle suppliche di due figure nude, un uomo e una donna, che sono inginocchiati davanti a lui e, dall’allegoria della compassione, in piedi alle spalle degli inginocchiati.

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La parete centrale, più corta, è invece gremita di figure che rappresentano la vita irta di ostacoli che l’uomo dovrà attraversare per raggiungere la felicità.
Il bestiale Tifeo, il gorilla con gli occhi di madreperla, è circondato a sinistra (in basso) dalle tre Gorgoni, mentre in alto dalla personificazione della malattia, della follia e della morte. A destra, invece, sono collocate tre figure femminili che incarnano l’incontinenza, la voluttà e la lussuria. Isolata, a destra, si rode invece l’angoscia, avvolta tra le spire dei serpenti, mentre in alto, i desideri e le aspirazioni degli uomini volano via.

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Sulla terza parete, scandita in due episodi principali separati, assistiamo alla redenzione.
L’anelito della felicità si placa nella Poesia, un’affilata figura femminile, arcaica e orientaleggiante, riconoscibile poiché intenta a suonare una cetra. Più oltre, Klimt offre una rappresentazione figurativa del coro che, sulle parole dell’Inno alla gioia, conclude la sinfonia di Beethoven, celebrando la gioia come una manifestazione divina. Le sensuali figure delle arti introducono un paradiso di pace, felicità e amore, dove al centro di un coro di angeli, una coppia di amanti stretti in un abbraccio (coppia che darà vita ad altre opere iconologicamente simili, come il Bacio e l’Abbraccio), rappresenta la pienezza di un’umanità che sappia ricongiungere, grazie all’arte, la componente terrena e quella spirituale.

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Abbiamo visto come la musica e l’arte, delle volte, possano conciliarsi e/o influenzarsi a vicenda, tanto da dare vita a opere stupende come quella che vi ho appena analizzato: è bello vedere come Klimt abbia ripreso fedelmente i versi dell’Ode di Schiller per rappresentare, in immagine, la scena del bacio e dell’abbraccio nel fregio.

Scritto da Malerin

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2 pensieri su “Da Beethoven a Klimt: la Nona sinfonia

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