“Huomo raro, ingegno sublime e, nato per disposizione divina, e per gloria di Roma a portar luce al secolo”
(Urbano VIII)
Con queste parole, Papa Urbano VIII Barberini elogia Gian Lorenzo Bernini: nato nel 1598, questo artista, considerato il più geniale sperimentatore ed interprete dei valori e dello spirito della propria epoca, dominerà, con il suo talento, la cultura figurativa barocca per oltre sei decadi.
La sua concezione dell’arte, alimentata da una fervida immaginazione e da una tecnica prodigiosa, si basava sul rapporto sperimentale con la tradizione, da lui stesso studiata (dalla scultura ellenistica di Pergamo fino a Michelangelo e ai Carracci), reinterpretata però in maniera energica, tant’è che, durante la sua lunga carriera, la sua arte verrà spesso sostenuta dalle cariche ecclesiastiche più imminenti del tempo.
Tramite il padre Pietro, anche egli scultore ma di stampo manieristico, il giovane Gian Lorenzo entra precoce in contatto con la committenza romana e, verso la metà degli anni dieci del secolo, attirerà l’attenzione del cardinale Scipione Borghese, protagonista di spicco della vita culturale e mondana della Roma del Seicento.
Per il cardinale Borghese, realizzerà la sua prima opera, la Capra Amaltea, scultura che fin da subito rivela le sue capacità tecnico-formali, assimilabili alla tradizione ellenistica.
Dal 1618 al 1629, l’artista rimane impegnato nell’esecuzione di monumentali gruppi scultorei come l’Enea e Anchise, il Ratto di Proserpina, il David, l’Apollo e Dafne ma, è anche il periodo in cui realizzerà, insieme al padre Pietro, la famosa Barcaccia.

Pietro e Gian Lorenzo Bernini, La Barcaccia, 1628-29, Roma, Piazza di Spagna
Posta ai piedi della scalinata di Trinità dei Monti, questa fontana ha la forma di di una nave appoggiata al suolo: collocata all’interno di un’altra vasca di forma ellittica, la nave presenta la prua e la poppa, di forma identica, rialzate rispetto al bacino sottostante; al centro della barca, un corto balaustro sorregge una piccola vasca da cui tracima l’acqua., il tutto ornato dallo stemma pontificio della tiara e delle api. L’acqua sgorga da altri sei punti, due dalle sculture antropomorfe a forma di sole, gli altri da fori circolari, simili a bocche di cannone, rivolti verso l’esterno. Si tratta di una soluzione originale, in quanto la fontana-nave potrebbe alludere alla nave-chiesa guidata con sicurezza dai Barberini, oppure, rimandare ad un racconto del 1598, secondo cui una barca sarebbe giunta lì fin dal Tevere. L’ubicazione dell’opera a livello del suolo fu una scelta obbligata per questione di natura idraulica, dovute alla scarsa pressione presente in quel punto della piazza.
Con l’appoggio delle personalità religiose più illustri, Bernini poté sviluppare il proprio linguaggio esuberante in condizioni di totale libertà, approfondendo l’idea di una scultura monumentale e sfarzosa, carica di riferimenti allegorici, in cui i vari linguaggi artistici si intrecciano con l’obiettivo di potenziare gli effetti illusionistici, come si può vedere ne L’Estasi di santa Teresa d’Avila.

Gian Lorenzo Bernini, l’Estasi di Santa Teresa d’Avila, 1647-’52, Roma, Santa Maria della Vittoria
Collocata all’interno della cappella Cornaro, una delle prime commissioni private affidate a Bernini dopo essere stato escluso dalle preferenze ecclesiastiche, il miracolo dell’estasi di Teresa è inscenato in un complesso meccanismo scenografico, che comprende sia il gruppo scultoreo collocato al centro del tabernacolo, sia la volta decorata con stucchi raffiguranti episodi della vita della santa. Al centro, quindi, di questa cappella in marmi policromi, sono collocate le figure dell’angelo e della santa, quest’ultima, adagiata su una nube di pietra che da l’impressione di galleggiare nel vuoto. L’illusionismo della scena è accresciuto dal fiotto di luce che proviene dall’alto, che scivola lungo i raggi di bronzo che sovrastano il gruppo. L’opera vive il suo culmine drammatico nella figura di Teresa pervasa dall’amore divino impersonato dal sorridente angelo-Cupido che sta per trafiggerle il cuore con una freccia d’oro. La sua figura appare riversa e in stato di trance, con la testa rovesciata all’indietro, gli occhi chiusi e la bocca semiaperta, invenzione che l’artista svilupperà, un ventennio più tardi, nella Beata Ludovica Albertoni. Assistono a questa teatralità, nei panni di veri e propri testimoni, i membri della famiglia Cornaro, disposti sui fianchi della cappella, affacciati come se avessero preso posto in un palco da proscenio teatrale.
L’impresa di San Pietro costituirà il trampolino di lancio della carriera di Bernini come architetto, prima con la realizzazione del Baldacchino e, poi, con il progetto della piazza, incarico ricevuto da Papa Alessandro VII nel 1656.

Gian Lorenzo Bernini, Piazza San Pietro, 1656-67, Città del Vaticano
Papa Alessandro VII commissiona a Bernini una grande piazza che, sull’esempio de quadriportici delle basiliche paleocristiane, assolva il duplice compito di costituire un ingresso maestoso e solenne della chiesa e di offrire accoglienza e riparo alle masse di fedeli e pellegrini. A lungo il nostro artista cercherà una soluzione che risolva i problemi strutturali e visivi lasciati aperti dall’allungamento del corpo della chiesa e dalla incompiuta facciata del Maderno, per optare, infine, per un monumentale e scenografico spazio a pianta ellittica che, nel coniugare funzionalità e spettacolarità, avrebbe risolto i problemi in chiave percettiva tramite accorgimenti ottici.
L’organismo della piazza è costituito da due parti distinte: la parte ellittica, formata da due braccia semicircolari di colonne di ordine tuscanico in quadruplice fila ornato da 162 statue, e la cosiddetta piazza retta, a pianta trapezoidale, che collega l’ellisse alla basilica tramite due gallerie rettilinee e divergenti che si saldano all’estremità della facciata. La piazza retta funge così da trampolino visivo che, allontanando e innalzando la facciata, ne completa il riequilibrio proporzionale.

Gian Lorenzo Bernini, particolari del colonnato della piazza ellittica, 1656-67, Città del Vaticano
In conclusione, dopo aver analizzato diversi punti del suo repertorio artistico, si può dire che Bernini rimodella e dà nuova linfa alla tradizione classica, imprimendole una vitalità positiva e solare che attinge, con rispetto, al repertorio dell’antico.
Scritto da Malerin
beh, vivendo da sempre a roma non posso far altro che avere ammirato tantissime volte le sue opere… ed ogni volta le trovo sempre piu belle!
"Mi piace"Piace a 1 persona
Sono opere che più le osservi e più ti sorprendono e ti meravigliano! Purtroppo io sono di Milano e non ho l’occasione di trovarmi sempre davanti queste meraviglie… [Malerin]
"Mi piace"Piace a 1 persona
Ciao, sei da me in un tag. Ovviamente la partecipazione non è obbligatoria, è solo un modo per far conoscere altri blog ai miei followers 😉
"Mi piace""Mi piace"
Scusa, ma non ho capito…intendevi forse che hai condiviso il mio articolo? [Malerin]
"Mi piace""Mi piace"
il bernini è il 600..se posso, la teresa d’avila è molto molto umana , insomma la sua estasi è parecchio carnale e poco spirituale…l’ho pensato immediatamente la prima volta che l’ho vista. ciauuuu
"Mi piace"Piace a 1 persona
Si, Bernini è forse la figura più rappresentativa del suo secolo insieme a Francesco Borromini. Hai ragione, questa scena della transverberazione è molto umana e si, è estremamente carnale, tant’è che numerosi psichiatri e studiosi hanno interpretato questa scena come una fantasia sessuale della santa nei confronti del divino. Non è per essere blasfema, ma anche leggendo l’ autobiografia della santa, lei afferma: “Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d’oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avere un po’ di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio. Il dolore della ferita era così vivo che mi faceva emettere dei gemiti, ma era così grande la dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore, che non c’era da desiderarne la fine […]”…è un po’ ambigua 🙂 [Malerin]
"Mi piace"Piace a 3 people
Infatti, non mi sono dilungata perché non sapev o come la pensavi ma conosco benissimo l’autobiografia…la lessi dopo aver visto la prima volta l’opera del bernini…
"Mi piace"Piace a 1 persona
A quanto pare la pensiamo nello stesso modo! Nell’articolo ho preferito non tirare in ballo questo tipo di argomento per non suscitare troppo “scandalo” (diciamo così) ma ti ringrazio per averne parlato…è il genere di commento costruttivo che mi piace 🙂 [Malerin]
"Mi piace""Mi piace"
Bernini ha ispirato anche Dan Brown per i suoi messaggi apotropaici, affascinante la sua visione così avvenieristica e innovativa come nell ‘angelo con metà corpo di diavolo…
"Mi piace"Piace a 1 persona
Anche se Dan Brown è uno dei miei scrittori preferiti, ho preferito non citare il fatto che Angeli e Demoni si basi interamente sull’amore degli Illuminati per questo straordinario artista; ad ogni modo si, hai ragione 🙂 E, se ti piace Dan Brown, troverai interessante anche il mio prossimo articolo, visto che Albrecht Dürer viene citato in un altro dei suoi libri, Il simbolo perduto 🙂 [Malerin]
"Mi piace""Mi piace"