Artemisia Gentileschi

Auguro una buona giornata a tutte le lettrici che ci seguono!! Oggi come avrete intuito non è domenica, ma è martedì 08 marzo, giorno insolito per pubblicare articoli.
Ebbene pubblichiamo questo articolo per inaugurare la nostra nuova rubrica dedita alle festività caledariali, ovviamente da un punto di vista artistico, di cui potrete seguire e avere informazioni più dettagliate qui: (https://wordpress.com/page/spuntisullarte.wordpress.com/879).

Approfittiamo della giornata delle donne per parlare del loro ruolo nell’arte, soffermandoci, poi, sulla figura di Artemisia Gentileschi.
Talvolta ci si chiede quante donne siano entrate a far parte della Storia dell’arte. La nostra memoria è affollata di così tanti nomi maschili che, nell’immaginario collettivo, c’è sempre la presenza di un uomo con pennello e scalpello intento a realizzare un quadro o una scultura.
E le donne? Per molti secoli restano “invisibili” fra le mura di casa o di un convento, dedite alle arti cosiddette minori quali il ricamo, la tessitura e la miniatura.
Nel Medioevo non possono intraprendere alcun tipo di apprendistato nelle botteghe d’arte o artigiane; per cui fino al Cinquecento viene repressa e ignota ogni loro aspirazione artistica. (per approfondire meglio questo argomento, vi consiglio la lettura di questo articolo tratto da un mensile di informazione culturale intitolato Letture: http://www.url.it/oltreluna/edicola/donnal’altramet%E0dell’arte.htm).
Nel 1562 era sorta a Firenze l’Accademia europea del Disegno, ma solo nel 1616 vi fu ammessa una donna. Si trattava di Artemisia Gentileschi, la maggiore pittrice del Seicento, fra i massimi artisti italiani d’ogni tempo. Tre anni prima del suo ingresso in Accademia, Artemisia aveva già dipinto il suo capolavoro “Giuditta che decapita Oloferne” (di cui parlerà Malerin), una tela che rievoca il cruento episodio biblico trattato anche da Caravaggio.

Chi è Artemisia Gentileschi?
Artemisia Gentileschi è stata definita un’icona del femminismo moderno, ma forse sarebbe più corretto ritenerla una singolare forma di eroismo femminile, che prende forma da un processo di autonomizzazione dal collettivo. Ciò nonostante, è una grande artista, una tra le pittrici e senz’altro la più originale dell’epoca (XVII secolo), “l’unica donna in Italia“, a detta di Roberto Longhi, “che abbia mai saputo cosa sia la pittura“.
Infatti, anche coloro che la reputano una “minore” le riconoscono una capacità del tutto peculiare.
In Artemisia vi è la scoperta di una grande novità: la dimensione dell’alterità pittorica, di un differente modo di rappresentazione e di vedere la realtà, fino a quel momento caratterizzata al maschile; un modo espressivo “di genere” antichissimo, eppure del tutto nuovo perché fino a lei lasciato nel silenzio.
Lei, che per prima ha dipinto volti femminili autentici, strappati alle iconiche interpretazioni maschili, divenendo pura interprete del femminismo, viene degradata ad un mero oggetto sessuale.

La donna, infatti, viene ricordata più che per il suo talento artistico, per la tragica vicenda che la colpì, ossia lo stupro perpretato dal pittore Agostino Tassi, amico del padre e suo maestro di prospettiva. Questo orribile evento si rispecchia in alcune fra le prime opere della giovane, come Susanna e i vecchioni del 1610 dove, nelle figure dei due uomini è impossibile non associare il padre di Artemisia, Orazio, e il maestro Agostino e nella tela che raffigura Giuditta che decapita Oloferne del 1620.

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Artemisia Gentileschi, Giuditta che decapita Oloferne, 1620, olio su tela, Firenze, Galleria degli Uffizi

Il soggetto di questa tela è tratto dall’Antico Testamento: l’eroina della Bibbia Giuditta, esempio di virtù e di castità, viene rappresentata, insieme ad una ancella, nell’atto di tagliare violentemente la testa del suo rivale e nemico Oloferne, un condottiero assiro da lei ingannato con la seduzione.
Con la sola eccezione della Giuditta e Oloferne di Caravaggio, conservata a Roma, non era mai stata dipinta una scena così drammatica come quella raffigurata in questa tela.
La fonte di luce proveniente da sinistra, che illumina i corpi dei personaggi, conferisce al dipinto un forte coinvolgimento drammatico, accresciuto anche dall’inquadratura serrata. Gli squarci di luce mettono in rilievo le figure dei tre protagonisti della scena. Le tonalità cupe sono tipiche del barocco e contribuiscono a conferire un tocco di teatralità alla scena. I gesti e gli sguardi delle due donne sono studiati nei minimi dettagli, così come il disperato tentativo del guerriero che oppone, anche se invano, tutta la forza per impedire che l’eroina possa tagliargli la testa. I colori luminosi e vibranti, in particolare quelli della veste di Giuditta, esaltano tutta la femminilità della giovane.

Con la sua cruenza, l’opera è stata interpretata, dai critici, in chiave psicologica, come un desiderio di rivalsa di Artemisia verso la violenza sessuale subita ad opera di Agostino Tassi. Roberto Longhi, nel 1916, arriverà ad affermare:

<<Ma -vien voglia di dire- ma questa è la donna terribile! Una donna ha dipinto tutto questo?  […] qui non v’è nulla di sadico, che anzi ciò che sorprende è l’impassibilità ferina di chi ha dipinto tutto questo…>>

La tela, probabilmente dipinta per Cosimo II de’ Medici, viene completata a Roma appena dopo il ritorno dell’artista, dopo sette anni trascorsi a Firenze. Per la sua violenza, l’opera fu confinata nel seminterrato di Palazzo Pitti e, solo dopo la morte di Cosimo II, Artemisia venne pagata e la sua opera collocata negli Uffizi, anche grazie alla mediazione dell’amico Galileo. Del quadro, però, esiste una prima versione, più piccola e con una cromia differenze che risale al 1612-13, conservata al Museo nazionale di Capodimonte.

Negli anni subito successivi al processo, la giovane artista iniziò a distaccarsi dalla propria famiglia, assumendo il cognome Lomi e conducendo la propria vita a Firenze; ma il suo successo non avrà limiti e approderà anche a Venezia e a Napoli, città dove venne stimolata da tutti quei cantieri e dalle nuove possibilità di lavoro. La sua fama raggiungerà anche l’Inghilterra, dove collaborerà con il padre alla decorazione a soffitto della Casa delle Delizie per la regina Enrichetta Maria.

Per la giornata della donna, abbiamo deciso di omaggiare questa pittrice che, come tante altre donne, è finita nelle grinfie dell’uomo sbagliato; abbiamo voluto ricordare la sua storia e i suoi meriti poiché fu una delle prime a voler emergere in un mondo che, purtroppo, non permetteva alle donne di essere ciò che desideravano.

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                                                                                            Scritto da: Max & Malerin

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2 pensieri su “Artemisia Gentileschi

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