Lo spazio spirituale e interiore di Monet: il ciclo delle Ninfee

‹‹Le Ninfee sono opere che possono essere comprese appieno soltanto da anime di sognatori, da coloro che chiedono alla pittura gli incanti della musica››
 Claude Monet

Non so voi ma io trovo particolarmente affascinante la serie delle Ninfee di Monet. Riescono a trasmettere, a chi osserva l’opera, sensazioni di serenità, pace e tranquillità.
Trovo che abbiano un forte impatto visivo ed emotivo e allo stesso tempo siano di una raffinatezza incredibile.
Dunque mi è sembrato doveroso scrivere questo breve articolo, sperando che possa suscitare, a voi lettori, le mie stesse sensazioni.

Negli ultimi ventinove anni della sua vita, Monet li dedicherà a dipingere le famose Ninfee, ossia 250 variazioni pittoriche di un unico e poetico tema, che segnano il culmine creativo ed espressivo dell’artista e il suo ingresso ufficiale nel nuovo secolo.
Il progetto delle Ninfee, preludio alle Grandi decorazioni che sarebbero state realizzate per l’Orangerie, nacque come naturale conseguenza dell’opera di trasformazione botanica del giardino della tenuta del Giverny, che Monet aveva realizzato con grande cura e passione.
Il suo amore per il giardinaggio si accordava infatti con la sua sensibilità cromatica e pittorica e con la sua cultura artistica.
Le aiuole variopinte, le numerose specie floreali, i glicini, gli iris, le siepi, il prato, gli arbusti con le loro fronde ombrose e i famosi pioppi (di cui dedicherà un ciclo di 15 tele) erano gli elementi di una composizione armonica e “impressionista”, costituita da un effetto “a macchie” di colori brillanti e luminosi, come un vero tableau vivant della sua pittura.

Fu, poi, lo stagno con le ninfee, costruito su un terreno attiguo al giardino della villa e ottenuto grazie a una diramazione del fiume Epte, a stimolare in particolar modo la fantasia pittorica, sostanzialmente acquatica di Monet. Oltre alle ninfee galleggianti sullo specchio d’acqua, Monet aveva piantato, tutto intorno, salici piangenti e piante esotiche costruendo, anche, un ponticello a schiena d’asino in legno, tipico dei giardini giapponesi e presenti nelle numerose stampe che ornavano le pareti della casa di Giverny.
Questo grazioso elemento rappresenterà, spesso, nelle realizzazioni pittoriche dello stagno, l’unico elemento spaziale e reale a dare un senso di profondità e di costruzione figurativa.
Lo stesso soggetto, il giardino acquatico attraversato dal ponte, viene ripreso da angolazioni diverse, in varie ore del giorno, in differenti stagioni e con una luce sempre differente; l’intento è quello di dare ogni volta una nuova impressione visiva.
Nelle opere successive Monet restringe il campo visivo, dipingendo esclusivamente le ninfee.

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Claude Monet, Ninfee, riflesso di un salice piangente, 1916-19

La capacità di rendere in modo naturale e sfumato riflessi delicati e cangianti della superficie dell’acqua fu sempre una caratteristica della pittura di Monet; adesso, però, nel dipingere questo luogo da lui stesso creato questa abilità diventa vero e proprio “sentimento” cromatico, spazio continuo e infinito, senza linea d’orizzonte né prospettiva, in cui l’acqua e il cielo si fondono in un’armonia lirica di colore puro e di luce.
La fisicità reale dello spazio e la descrizione del soggetto vengono aboliti a favore di uno spazio spirituale e “interiore”, che è quello, poi, dell’arte astratta e informale, che, al principio del Novecento, comincia a essere teorizzata.

Monet nel 1908 aveva cominciato ad accusare gravi disturbi alla vista, degenerati poi in una doppia cateratta, che gli verrà parzialmente rimossa, con tre operazioni chirurgiche, solo nel 1923. Durante questi anni, egli continuò sempre a lavorare alle Ninfee, accusando spesso momenti di scoramento e depressione per la sua imprecisa percezione dei colori.
Le difficoltà sfociavano, spesso, in attacchi d’ira che lo portarono persino a distruggere alcune tele; altre volte, invece, la sua visione dei colori recuperava uno stato normale per cui egli approfittava per fare le necessarie rettifiche.

Dal 1914, anno della morte del figlio Jean e dell’ingresso della Francia nel primo conflitto mondiale, si dedicherà con passione al progetto delle Grandi decorazioni, che donerà allo Stato francese nel 1922, realizzando decine di tele di dimensioni enormi (fino a otto metri) in cui il paesaggio acquatico, si trasformerà in uno spazio sconfinato e silenzioso che coinvolge l’osservatore in una sensazione di durata temporale, in cui le infinite variazioni della luce sembrano depositarsi e dissolversi sulla materia cromatica.

Monet ha condiviso con noi il suo spazio spirituale, interiore e riservato, rendendoci partecipi di questa meraviglia. Ci vuole un buon animo per fare certe cose!

Ecco a voi, tra le tante, le opere che maggiormente preferisco 🙂

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                                                                                                                     Scritto da: Max

 

 

6 pensieri su “Lo spazio spirituale e interiore di Monet: il ciclo delle Ninfee

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